9.4.06

Via 26ª = 30-41

Capacità di felicità emergente

È la capacità di strutturare la propria felicità facendola emergere. Desiderare, in quanto brama, è sorgente di problemi emotivi. Desiderare molte cose contemporaneamente, mescolando sogno e realtà secondo le dinamiche [rappresentate nel tuo oroscopo dal rapporto fra Nodo Lunare Sud prenatale (esagramma 30) e Giove natale (esagramma 41), vale a dire dalle forze basilari preordinate alla tua evoluzione e dalle qualità della tua anima cosciente] ti offre la possibilità di riconoscere con chiarezza il tuo bisogno di pazienza e di prudenza nel decidere, e soprattutto di mettere a fuoco un singolo desiderio per volta. Senza questa “minorazione” (esagramma 41) si anelerebbe costantemente e calorosamente al nuovo in ogni campo, per es., attraverso sentimenti, fantasie, ed eccitazione (esagramma 30) col rischio di portare l’irrequietezza o l'ansia a sfociare in confusione di pensiero nella misura in cui si desidera cambiare ma non sai come e cosa cambiare.
Questo potere, essendo connesso al concetto di felicità, è implicitamente legato a quello di verità. Alla felicità si arriva attraverso la verità, perché la verità fa liberi, in quanto è essenzialmente amore di natura spirituale. Inteso come gioia di esistere, questo potere è inganno in quanto desiderio di vita, sostituito alla vita stessa. Vera è invece la felicità intesa come gioia di essere, quella che l'interiorità conosce, sperimentando le sensazioni come elemento incorporeo contenuto del (e nel) corporeo: contenuto che non ha niente a che vedere con lo strumento corporeo mediante cui si manifesta, essendo in realtà esperienza interiore dell'io: normalmente ignorata. Le sensazioni non sono ingannevoli. Ingannevole è il deliquio dell'anima in esse. La gioia del deliquio è la voluttà di evadere, o di dormire, di evitare la lotta, o di sfuggire la responsabilità, eludendo la disciplina interiore (Tolkien, quando lo accusavano di scrivere letteratura di evasione, diceva di fare attenzione alla distinzione fra la diserzione del guerriero e la sacra fuga del prigioniero. Questa distinzione non si impara di certo nelle scuole di Stato, in quanto dalle scuole elementari fino alle università, tutto è strutturato a formare coscienze imprigionate nello statalismo, per il quale esiste solo la “diserzione del guerriero”, cioè quella di colui che rinuncia alla realtà codificata. La fuga del prigioniero è invece qualcosa di sacro non perché si rinunci alla realtà codificata ma perché si sappia quando fuggirne, dopo averne verificato la consistenza astratta, vale a dire cartacea, meramente formale, anziché organica e vitale). Come la gioia del deliquio, così la gioia “sociale” della scuola di Stato, si assume comunemente come gioia di esistere. Nella realtà però questa gioia prepara regolarmente il dolore: è una gioia ingannevole perché ignora il proprio reale contenuto, il quale è indipendente dai sensi. Vera funzione di questo contenuto è alimentare l'interiorità umana, non la sua dipendenza dai sensi. Raramente la felicità è gioia pura: tuttavia può ogni volta essere resa pura, dove si identifichi il suo risuonare interno come processo in sé non sensibile. Solo in questo caso essa diviene alimento dell’interiorità e della vita. L’essere umano è portato a fraintendere la propria felicità nella misura in cui la considera interiore anche se legata ai sensi. Ciò è dovuto al fatto che l'attuale vita mentale della gente è fondata sul sistema nervoso, ed è perciò priva di coscienza dell'elemento metafisico del pensiero: elemento che si estrinseca dialetticamente mediante processi nervosi cerebrali, pur essendo in sé indipendente da questi! Ecco perché, dipendendo regolarmente dai sensi, la sua felicità è sempre il presupposto al dolore. Questo suo errore in merito alla felicità non è errore in quanto sensazione, ma in quanto sensazione che schiavizza la sua interiorità: prepara inevitabilmente il dolore, in quanto apre l'interiorità a dinamiche che non sono in accordo con la sua essenziale natura, anzi l’avversano. Gli avvenimenti che appaiono dolorosi come fatti esteriori, sono sempre suscitati da dolore di cui l'interiorità necessita come del correttivo della condizione effimera della gioia basata sui sensi, nella quale la gioia autentica, come evento dell'interiorità, è esclusa. Ma cos'è escluso in realtà qui? È escluso l'io.
Questa tua capacità di strutturare la tua felicità facendola emergere è pertanto gioia di essere, coincidente con la gioia di servire o di esprimere il divino, intimo all'anima. Infatti, quando la gioia non è identica alla gioia di servire il divino, è preparatrice del dolore. La gioia di esistere, per la contraddizione che reca in sé, è la continua preparatrice del dolore, necessario all'anima a scoprire il contenuto soprasensibile di cui viene di continuo privata nel sensibile. La gioia fisica, sempre cercata, non è mai veramente posseduta, perché il suo senso ultimo è che la si possieda metafisicamente. Detto nei termini più prosaici delle attuali politiche, la brama della materia - cioè lo "sbavare" come cani per la materia, o per la “finanziaria”, la polvere bianca, l'erba, o un paio di tette, ecc. - non è mai appagata, perché l'interiorità umana cerca la sua consistenza in sensazioni che di continuo la eliminano, così che essa lo cerca nell'ulteriore sensazione, in cui nuovamente la perde! E perde tale consistenza proprio cercando di afferrarla in sempre nuove sensazioni, appunto mediante una brama che via, via, rafforza se stessa. Non si tratta di vietarsi la normale gioia dei sensi e la spontanea immersione in essa, ma di riferirla ogni volta allo sperimentatore vero: l’io, al cui interno è il divino. Il godimento, che è normalmente la via dell'animalizzazione dell'uomo, può dunque divenire veicolo dello spirito. Veicolo realmente magico! La divino-umanità si esercita, con determinate sensazioni di gioia, a estrarre da esse il moto puro dell'anima: la dinamica della luce di vita, secondo l’arte reale della spagiria. La dea ed il dio della divino-umanità sanno apprendere tale arte, che è quella di separare il contenuto di luce delle sensazioni dal deliquio sensuale, che è la continua distruzione di tale contenuto. Oggi tutti i sintomi storici, parlano a favore dell'esigenza di pervenire al più presto ad assetti sociali in cui il talento umano sia la vera moneta, il manas, la manna reale, proveniente dal capo umano (testa umana), e dal capitale che ne proviene come spirito sintetizzato. In fondo i soldi non sono altro che sintesi, pensiero umano, spirito umano, sintesi che rappresentano tutto quello che si può comprare, eccetto la felicità, capitale reale.
Il denaro, da strumento di benessere per l'uomo, diviene sempre di più il tiranno, nella misura in cui fa sorgere brama (di denaro), che è la prima forma di tirannia. Da qui la paura (di restare squattrinati), seconda forma di tirannia. E ancora da qui fa sorgere la concorrenza (per i posti ben pagati), terza forma di tirannia. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in nome della malintesa felicità dell’uomo è la quarta forma di tirannia. Da qui le varie “realtà codificate” dalla cosiddetta "globalizzazione" alla cosiddetta "mondializzazione", di per sé sintomi di malattia mentale: il pensiero di voler globalizzare il globo o di voler mondializzare il mondo sono follia tautologica del potere e dello sfruttamento economico a vastissimo raggio, quinta forma, anzi quintessenza mondiale della tirannia.
Nella società astratta, l’astratto domina il concreto, e ciò dipende da errori culturali, “realtà codificate”, schemi artificiosi, moralmente eterodiretti, cioè gestiti da volontà esterne all’uomo. Allora l'essere umano perde la sua libertà, e diventa ingranaggio di un grande “meccanismo” le cui finalità non può più controllare. Ciò lo porta a situazioni di infelicità derivate dal fatto che le motivazioni delle proprie azioni non risiedono all'interno della sua coscienza, ma in fattori esterni i cui presupposti tende a non voler verificare.
Questo tuo potere dunque è molto importante. L'io è l'artefice della propria felicità. E la capacità di strutturare la propria felicità, facendola emergere, è capacità dell’io. In tale contesto l’atto intuitivo è, per te, il contributo personale al generarsi continuo del tuo io, e contemporaneamente della tua forza d'amore, che poi ti fa uscire da se stesso, facendoti agire nel mondo esterno.