10.4.06

Via 17ª = 18-58

Sete di giustizia che migliora il mondo

La sete di giustizia, in quanto massima capacità di giudizio critico, può mondare il mondo, cristianizzandolo, cioè facendolo umano nel senso più alto. L’emendamento delle cose guaste (esagramma 18) conduce al sereno (esagramma 58) se la tendenza a scoprire anomalie non rimane solo sul piano critico o della contestazione, ma sazia anche la sete di giustizia: attraverso volontà evolutiva capace di correggere le anomalie, oggettivamente osservabili nel mondo esterno. Se tale volontà e sete mancano si può sempre e solo scovare la pagliuzza nell’occhio altrui, ma non ci si può accorgere della cecità volontaria causata dalle travi antiveggenza. Allora ci si ammala di rimozione del giudizio critico e si diventa molli e mesti esattamente come i cattolici nati cattolici e mai divenuti cristiani.
Se non si diventa cristiani, nascere cattolici non serve ed, anzi, spegne ogni nostra sete di giustizia. Allora lo spirito di gruppo, rafforzandosi, si sostituisce allo spirito individuale, e riducendo l’essere umano a fare “ciò che fan tutti”, genera schiavitù, succubanza, e signoraggio, perché riesce a deviare la sorgente dell’energia umana verso il basso, prosciugandone la naturale essenza verso l’alto.
Proprio attraverso questa dinamica, l’io umano diventa subconsciamente io di gruppo, scientificamente persuaso della eticità dell’animalizzazione umana. Si crede scientifico, e di conseguenza evolutivo, ridurre l’uomo a specie animale. La specie umana, anticamente detta del “figlio dell’ uomo” è invece quella dell’unigenito, cioè dell’individualità generata dall’unico “io sono”.
La “specie animale uomo” è una specie “animale” unica ed eccezionale rispetto alle altre specie animali. Per esempio: mentre la specie animale delle rondini ha un io di gruppo, per cui l’individuo vola in cielo, come pilotato da un radar aggruppante, quando deve con gli altri virare nel medesimo istante e mutare la rotta di volo, la specie animale degli uomini ha un io non di gruppo, ma per ogni individuo, ed ognuno può “volare”, “virare”, e “cablare” da sé, “pilotarsi” come specie umana a sé, e capace di indicare se stessa come “io”.
Se abbiamo una scodella talmente vecchia che il suo materiale fa crescere vermi in ogni suo contenuto significa che è inutile operare sulle cose guaste del contenuto, ma che occorre cambiare scodella.
Se continuiamo a mettere vino nuovo in una vecchia botte tarlata, che poi si rompe, significa che dobbiamo mettere il prossimo vino nuovo in una botte nuova per non disperdere continuamente il vino.
Quando però l’indifferenza si incontra con l’inerzia dell’io di gruppo, si è tutti colpevoli del fatto che tutto finisca nello stagnamento. La stagnazione è dunque segno che tutti siamo invitati a rafforzarci in noi stessi, cioè nel nostro pensare, per eliminare la colpa attraverso l’emendamento di ciò che guasta.
Se ciò che guasta è la legge del gruppo, il lavoro di emendamento del guastato è compito sociologico-giuridico, che promette spensieratezza dell’essere lieti nella misura in cui si pensi non in modo debole.
La spensieratezza dell’essere lieti non poggia sulla mollezza dei costumi o della convenzione, ma sull’attuazione di idee-forza, senza le quali si scambia la gioia con la mestizia.
La vera letizia poggia su forza: sul fatto che dentro sussistano forza e saldezza, le quali luminose compaiano all'esterno: temperate e miti. L’aggettivo “mite” non deve trarre in inganno ma fare i conti col contenuto del concetto di epicheia da cui proviene.
Per spiegare questo tuo potere di giudizio critico e di sete di giustizia che migliora il mondo farò due esempi, uno teologico e l’altro astrologico.

Esempio teologico

Nella teologia si associa volentieri Gesù di Nazaret al concetto di mitezza. Però quando con tale associazione di idee si arriva al passo in cui Gesù frusta i cambiavalute e rovescia i banchi (banche) ci si trova ai ferri corti. Come fa un mite a frustare la gente se è mite? Qui teologo si imbestialisce facendosi mesto.
La parola “mite” è in realtà un concetto di misura, e proviene dal sanscrito “mita”, che significa “misurato”. Non significa molle. Parlare di Gesù di Nazaret come di una persona molle, , traducendo appunto con “mite” il concetto greco di “epi-eikeia” è sensato quanto pretendere di fare apparire come Gesù come una specie di Fantozzi mansueto.
Epicheia significa letteralmente "equità", ed è inteso propriamente come il principio interpretativo che non tiene conto di una legge quando nel caso individuale e singolo il suo adempiersi risulti immorale.
Epicheia è la "politica" di Gesù, sempre equa. Chi però non conosce il contenuto del concetto “epicheia” viene avvelenato, addormentato, e freddato dalla legge, in quanto non sa - non può sapere teologicamente - che ogni legge ha bisogno di essere interpretata da ogni individualità. Ecco perché il detto "summum jus, summa iniuria" significa che stare troppo attaccato alla legge genera solo ingiustizia e tensioni: la legge infatti produce ira ("lex enim iram operatur", Rom. 4,15) e, se resa troppo rigida, è la rovina dell'uomo.
Per questo motivo esiste l'epicheia. Essa consiste nella capacità di praticare lo spirito della legge, e di capirlo, andando, se necessario, contro la lettera stessa della legge. A volte infatti, proprio per salvare l’intenzione della legge, occorre violarne la lettera.
E Gesù, stando al racconto degli evangelisti, lo fa sempre. Per esempio, a serviva il sabato per il vecchio testamento se non a significare la libertà che il cielo dava ai suoi figli “schiavi in Egitto”, dato che lì evidentemente non c'era alcun sabato e neanche si poteva pensarci? Gli esseri umani, prima di uscire dall’Egitto dovevano lavorare tutti i giorni, dalla mattina alla sera, perché comandava il faraone, e a lui interessava semplicemente che costruissero città. Quindi, sempre secondo il racconto biblico, essi avevano ben poche prospettive di vita. Ecco perché quel settimo giorno, era segno della loro libertà, e di quella vita nuova e libera che il cielo, o YHWH, aveva operato in loro. Ed ecco perché curare in giorno di sabato era considerato proibito dalla legge del vecchio testamento. Però nel nuovo testamento, curare nel giorno di sabato deve stabilirlo l’individualità, non la Bibbia, né il vangelo, che viene scritto dopo l’avvento di essa. Prima di tale avvento l’uomo indicava infatti se stesso in terza persona: “l’anima mia magnifica il Signore”, “il mio spirito esulta”
Perciò chi legge il vangelo può accorgersi che la concezione legale di Matteo coincide con la “politica” di Gesù, vale a dire con la pratica dell'epicheia assoluta: il figlio dell’uomo, cioè l’io, signore del sabato (Mt. 12,8; Mt. 12,12; vedi anche Mc. 2,23-24; 2,27-28; Lc. 4,31; 6,1-2; 6,5-7; 6,9; 13,10; 13,14-16; 14,1-5; Gv. 5,10-18; 7,22-23; 9,14-16) è la concezione legale di Gesù.
Dunque è chiaro: se il curare rientra nell'esperienza di liberazione e di libertà - dato che quando curi una persona, la liberi esattamente da un suo limite, da una sua povertà - allora, in giorno di sabato è lecito e cristiano guarire. Questo va contro la lettera della legge, ma non va certamente contro lo spirito di essa: la legge del sabato era stata data per liberare l’uomo e per impedirgli di diventare schiavo, non per mortificarlo o per impedirgli di diventare sano. Ecco perché l'azione basata su epicheia è corretta, anche se il praticarla comporta problemi, in quanto il potere dell'iniquità cerca sempre di eliminarti se la metti in pratica (Mc 3,6), soprattutto se, come cittadino “sovrano”, tenti di praticarla in merito ai tributi: il principale capo d'imputazione che conduce alla crocifissione colui che “impediva di dare i tributi” fu quello di sedizione antitributaria, dato che questa imputazione viene messa da Luca prima rispetto a quella di affermare di essere Cristo re (Luca 23,2).
La logica del diritto o delle leggi non va confusa con il loro senso, ed il senso della civiltà del diritto può essere dato solo da un pensare conforme alla realtà non da filosofia teoretica delle scuole di Stato.
La salute dello Stato si chiama guerra in quanto le guerre arricchiscono banchieri e multinazionali. Dunque solo con la sete di giustizia che migliora epicheicamente il mondo si può sapere che per poter usare moneta propria, nessun pubblico, nessuna collettività, ha bisogno di indebitarsi con privati (i soci privati delle banche centrali, che impongono tale debito al pubblico).
"I precursori di un mondo senza guerre", diceva Einstein, "sono quei giovani che rifiutano il militarismo", indicando sostanzialmente il contenuto del concetto di epicheia e indirettamente il rifiuto di pagare le tasse, se esse servono per fare guerre. Il conflitto “socio”-politico di tutto il pianeta è nella sua profondità un conflitto teologico in cui vi sono da un lato i nati cattolici che mai sono diventati cristiani, e che non pensano minimamente a diventarlo, e dall'altro lato i pochi cristiani che sanno comprendere il motivo per cui Gesù fu crocifisso: l’obiezione fiscale. "L'ordinamento sociale fondato sull'autorità" - scriveva Lev Tolstoj - "non può essere giustificato: il cristianesimo, nel suo vero significato, distrugge lo Stato. Esso fu compreso fin dal principio ed è perciò che Gesù Cristo fu crocifisso" (Lev Tolstoj, "Il Regno di Dio è in voi", Ed. Manca-Publiprint, Genova-Trento, 1991).
Pertanto senza sete di giustizia non si può comprendere l'obiezione fiscale di Gesù di Nazaret, né si può risolvere il problema del male, rappresentato oggi dalla succubanza dei governi politici ai governatori delle banche centrali.
Certamente, al centro del “programma” politico di Matteo, la concezione legale di Matteo comporta non l'abolizione della legge e dei profeti dell’antico testamento, ma il suo compimento (Mt. 5,17-20), ma tale compimento non è l'attuale stile gattopardiano in cui tutto deve cambiare affinché nulla cambi. Perché non si tratta di imbottigliare la legalità nell'osservanza formale ed astratta che fa dell'uomo un robot o uno schiavo, ma di mettere il vino nuovo in otri nuovi (Mt. 9,14-17). Ciò è possibile valutando sempre con giudizio critico e con epicheia se, quando, e come, praticare l'osservanza della legge.

Esempio astrologico

Nell’astrologia si associa volentieri l’astrologo al mago, capace di dare sollievo a disperati attraverso previsioni fatte in base all’osservazione dei transiti di corpi celesti. Però tutte queste previsioni sono insensate, se non si è in grado di prevedere che senza un passaggio dalla moneta sporca a quella pulita si rimane nella depressione o nella voglia di morire. A questo punto, se dici la cosa all’astrologo, anche l’astrologo si imbestialisce facendosi mesto. Lo stesso succede con tutti gli psicologi, gli analisti, e terapeuti vari. Perché tutta questa massa di curatori, dovendo operare in un organismo sociale avvelenato da una moneta concepita come debito, non può fare altro che indurre ipocritamente i “malati”, cioè gli aspiranti al suicidio a convivere con la menzogna. Diceva Jung, che secondo me è il rappresentante migliore di questi curatori: “Il concetto di Dio è in sostanza una necessaria funzione psicologica di natura irrazionale, che non ha assolutamente nulla a che fare con l'esistenza di Dio” (Carl Gustav Jung “Die Psychologie der unbewussten Prozesse”, Zungo 1917). Chiamando “necessaria” la follia, egli non poteva fare altro che costringere la psicoanalisi (ma questo vale anche per ogni astrologia o teologia dell’essere mesti) nella logica della menzogna. Infatti sostanzialmente afferma: “l’uomo ha la disposizione a presumere l’esistenza del divino”. Poi però aggiunge: “ma un essere divino, ben inteso, non vi può essere”. Che significa ciò?
Affermare che l'uomo è fatto in modo che per conservare la sua sanità mentale, deve presumere un essere divino, anche se questa è follia irrazionale, è sensato quanto affermare che se l’uomo vuol essere sano deve ammalarsi o convivere con la menzogna perché con la verità non può vivere.
A questo punto il candidato al suicidio preferisce morire. Perché sostenere il sistema come giusto quando giusto non è, come immettere nel sangue malato altro sangue malato. Per guarire invece mischiare sangue pulito a quello sporco per sostituirlo gradualmente e migliorare il sistema. Ecco perché nell’organismo sociale occorre una nuova moneta: la moneta è il sangue del mercato e dunque dell’organismo sociale. È una necessità
Altrimenti l’alternativa è il suicidio. Chi è il suicida? Il suicida non è uno che è stanco di vivere, ma che è stanco di non vivere. Il suicidio è il segno della sete di dignità, della sete di giustizia, e dunque della sete di vita. La vita fatta di non rapporti non è vita, né dignità. Il suicida non tollera di essere umiliato perché non ha rispettato le scadenze di pagamento ed è venuto meno alla parola data. Il suicidio è segno di nobiltà. È segno di gente che si sente moralmente integra. E allora preferisce all’umiliazione il suicidio. Oggi i vivi invidiano i morti. Perché i vivi vivono da zombi, da Ufo, oggetti non identificati. Il suicidio da insolvenza è la prova che gli esseri umani preferiscono identificarsi morendo piuttosto che sottostare al dominio degli zombi. Perché anche i manipolatori di capitali sono zombi antilogici, in quanto sono costretti a vivere con la scorta, per paura di morire, per paura degli attentati, per paura delle torri gemelle, ecc.Dacci oggi il nostro pane quotidiano! Il pane va dato. Non va prestato. E il pane può essere preteso dal cittadino quando il cittadino ha la proprietà della sua moneta.
Questa esigenza segna il cielo di oggi perché ciò che oggi è ancora celato è l’avvento dell’io, cittadino sovrano. I segni del cielo vanno scrutati con discernimento e non solo per interpretare aspetti planetari. Cristo invita a farlo in modo perentorio: “Sapete discernere l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo (del figlio dell’uomo) non sapete discernerlo?” (Lc. 12,36).